Giustizia e avvocati: un anno di COVID

È trascorso un anno esatto dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Era fine febbraio 2020 e l’avvocatura aveva tutt’altre priorità rispetto alla gestione di una crisi senza precedenti.

È trascorso un anno esatto dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Era fine febbraio 2020 e l’avvocatura aveva tutt’altre priorità rispetto alla gestione di una crisi senza precedenti. Si era appena conclusa l’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani e la parola d’ordine era il “no” alla riforma della prescrizione voluta dall’allora ministro Alfonso Bonafede. Da allora, sembra passata un’intera era geologica: nel mezzo la gestione improvvisata del lockdown da parte di uffici giudiziari impreparati alla sfida digitale in cui si sono ritrovati improvvisamente immersi. Ancora: le rivolte nelle carceri, il no convinto dell’avvocatura e non solo al processo penale “online”, il continuo rinvio dell’esame da avvocato 2020 che ancora non ha trovato soluzione. Ma anche una completa mancanza di forza istituzionale da parte dei vertici nazionali della categoria forense. Di questo e delle nuove sfide che attendono il neo ministro della giustizia, Marta Cartabia, e gli avvocati abbiamo parlato con il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Vinicio Nardo, che sta affrontando la sfida della digitalizzazione. Ma vediamo cosa è emerso.

Presidente, facciamo anzitutto un bilancio di quest’ultimo anno caratterizzato dall’emergenza sanitaria per il settore giustizia.
Tirando le somme di questi ultimi 12 mesi, direi che è stato un anno di collaborazione tra l’avvocatura e gli uffici giudiziari, intesi come personale amministrativo, e non solo a Milano. O meglio, inizialmente ci sono state delle frizioni perché il lockdown di marzo-aprile ha portato al ridimensionamento del personale, che non aveva la possibilità di svolgere il proprio lavoro in remoto perché il ministero non li ha dotati della strumentazione adatta. Quindi, nella prima fase si è registrato un rallentamento della “macchina giudiziaria” con relativa frustrazione da parte degli avvocati. Nonostante questo, siamo riusciti a far scorrere il fiume della giustizia e soprattutto in autunno per fortuna non si sono verificate nuovamente le stesse condizioni di chiusura di marzo-aprile. Il Covid ha portato sicuramente un minimo di sollecitazione sul piano della tecnologia rispetto alla gestione degli atti. Sono state introdotte modifiche al processo civile telematico, che dovrebbero dare la possibilità al personale amministrativo di operare da casa in smart working. Da ultimo, è stata introdotta la procedura telematica per la fase esecutiva degli atti e si è aperto il cantiere del processo penale telematico. Al ministero della giustizia affermano di aver fatto tanto, sul piano tecnologico. Noi pensiamo di no perché se paragoniamo il sistema giustizia con il mondo esterno notiamo ancora una differenza abissale. Basti pensare che noi siamo ancora fermi a discutere su una Pec in più o in meno.

Quanto è lontana quindi la svolta digitale?
Come Ordine di Milano, e in questo devo dire che siamo rimasti abbastanza isolati rispetto al mondo dell’avvocatura, abbiamo compreso fin dall’inizio l’importanza di sollecitare l’evoluzione tecnologica e delle piattaforme digitali. Detto questo, le piattaforme sono state gestite a livello centrale e non c’è stata alcuna sperimentazione che ci abbia coinvolto, come avvenuto invece quando è nato il processo civile telematico, in cui avvocati, magistrati e cancellieri sono stati parte attiva del programma di miglioramento dello strumento. In questo caso, invece, è mancato un link diretto con Roma e questo ha rappresentato un problema, perché le piattaforme digitali sono il futuro e sono preferibili al sistema Pec che è semplicemente una riproduzione digitale di un sistema cartaceo.

Ora però siamo di fronte a un cambio di Esecutivo. Cosa ha lasciato a suo avviso l’ex ministro Bonafede e quali sfide si trova in eredità il nuovo Guardasigilli, Marta Maria Carla Cartabia?
Il ministro Bonafede lascia in eredità iniziative contrastate perché di natura ideologica, come l’interruzione della prescrizione o le modifiche alla legge “Spazzacorrotti” con successivo intervento della Corte Costituzionale, o la retroattività dell’art. 4 bis che esclude misure alternative alla detenzione in carcere. Una eredità divisiva e incostituzionale. Sempre sul piano della risposta carceraria, lascia una tendenza a risolvere le questioni in maniera punitiva, e questo è un problema che riguarda tutta una narrazione che c’è nella società attuale. Lascia ancora una attitudine al confronto con le parti che è stata positiva anche se a ben vedere è stata più apparente che reale. I tanti tavoli avviati per la riforma civile e penale devono approdare a qualcosa e raccogliere indicazioni di chi partecipa. Così non è stato. Il ministro Cartabia trova questo panorama e per l’attività che ha svolto negli ultimi anni dimostra di avere bene a mente il problema carcere. Ci aspettiamo quindi una inversione di tendenza rispetto al predecessore. Peraltro, nei giorni scorsi ha fatto scalpore un provvedimento riguardante un detenuto in 41-bis al quale è stato vietato di avere in cella il libro scritto dalla stessa Cartabia e da Luciano Violante sulla punizione in carcere, in virtù del fatto che leggere questi libri darebbe al detenuto un carisma non adeguato. Credo inoltre si occuperà di giustizia civile. Nel recovery plan è scritto che una delle priorità è eliminare le lungaggini della giustizia civile. Si tratta a mio avviso di un compito più semplice: una volta che verrà scelta una strada sarà metabolizzata da chi dovrà utilizzare la procedura civile compiti. Con il settore penale, invece, probabilmente il ministro avrà più problemi: dovrà sciogliere sicuramente il nodo prescrizione. Il problema è che questo Governo contiene tutto e il contrario di tutto. È necessaria una vera e propria riforma del carcere, che il ministro Orlando non ebbe la forza e il coraggio di fare.

Quale può essere il contributo degli avvocati allo snellimento della giustizia civile?
Possono sicuramente dare un grande contributo, attraverso le Adr e la giustizia complementare, in cui la soluzione dei conflitti è gestita dagli avvocati. Gli organismi nazionali stanno firmando numerosi manifesti e delibere congressuali in favore delle Adr, e trovo che sia un versante che si può sfruttare maggiormente perché gli avvocati stanno acquisendo sempre più professionalità nelle attività di negoziazione assistita, mediazione, ma anche nell’utilizzo dello strumento dell’arbitrato che non è più una “giustizia di élite” ma rappresenta un moto parallelo di risoluzione dei conflitti rispetto al processo. L’avvocatura può fare molto in questo senso, e sgraverebbe i tribunali di conflitti che finiscono sulla scrivania dei giudici. Parlo però di un’avvocatura combattiva ma non litigiosa, determinata a raggiugere un obiettivo sensato e non a mettere la vittoria del cliente sopra tutto e contro tutto. Se gli avvocati possono dare una grande mano, va anche rafforzato il versante statale: l’Italia deve essere pronta a una riduzione del numero di procedure di giustizia civile, anche attraverso l’esaltazione dei momenti di contraddittorio e l’automazione, con vari sistemi, dei momenti di non contraddittorio ma semplicemente di passaggio di fase processuale.

Presidente, abbiamo fatto un bilancio di un anno di giustizia civile post-Covid. Le chiedo ora di farlo per gli avvocati milanesi. Quali le prospettive 2021?
L’impatto della crisi sanitaria è ancora in corso sugli avvocati, stiamo assistendo a una depressione dei numeri dell’avvocatura. Prova ne è il fatto che è stato bandito un concorso per un numero importante di cancellieri e parteciperanno moltissimi avvocati. Si tratta di quella parte di categoria che si è vista togliere il terreno da sotto i piedi. È un momento in cui le opportunità di lavoro sono poche, bisogna resistere e guardarsi intorno perché allo stesso tempo è un momento di grande cambiamento della società. Parlo dell’avvento del digitale, una trasformazione che sta creando nuovi ambiti in cui la tutela del diritto si deve ancora affermare. Per esempio, si è aperto il versante del commercio elettronico, con i rapporti tra il singolo cittadino e le grandi società di big data, che gestiscono un potere enorme sotto il profilo del commercio e dell’influenza della cultura economica mondiale. Ci sono ambiti cui l’avvocato deve guardare perché si aprono settori di diversa tutela del diritto. Per questo, abbiamo stilato un protocollo con il Corecom Lombardia (Comitato regionale per le comunicazioni, ndr) creando un portale, ConciliaWeb 2.0, che prevede l’affiancamento dell’avvocato al cittadino nelle controversie Internet, Pay Tv e telefonia. In questo modo, i grandi colossi della comunicazione saranno responsabilizzati dal fatto che il cittadino è affiancato da un avvocato. Si tratta di un sistema interamente digitale, oggi infatti ci troviamo in un momento di transizione, in cui ciò che prima era disincentivante come il ricorso a Internet, sta diventando incentivante piuttosto che recarsi di persona in un luogo fisico. È una nuova dinamicità dove gli avvocati devono essere presenti e cogliere le opportunità.

Anche le specializzazioni possono essere una nuova opportunità per gli avvocati, dato che hanno avuto un percorso oltremodo travagliato?
Le specializzazioni sono un’opportunità di per sé. Per questo sono sempre stato critico rispetto al ricorso portato avanti da alcune anime dell’avvocatura sul regolamento che ha ormai 8-9 anni di vita e che è stato rammendato dalla giustizia amministrativa. Possiamo pensare la società del futuro senza specializzazioni? Sicuramente no, per cui dobbiamo vedere le specializzazioni come qualcosa di necessario e di pensato per i giovani, che sono gli avvocati del futuro. Possiamo solo intravedere la trama di ciò che sarà ma non possiamo opporci. Per fare un esempio, un ente che doveva costituirsi in un processo penale ha chiesto al nostro Ordine i nomi di avvocati con una competenza molto specifica su cui poi effettuare un beauty contest. È indicativo della direzione che sta prendendo la società, con la richiesta di specializzazione non solo come competenza ma anche in chiave di trasparenza. C’è chi sostiene che crei delle riserve di competenze o che sia un balzello in più per gli avvocati, i quali però già devono seguire un percorso di formazione continua. Per di più, la specializzazione è facoltativa.

Veniamo ora al nodo dell’esame da avvocato 2020. Soluzioni e proposte?
Come Ordine degli avvocati di Milano abbiamo assunto una delibera molto netta, rompendo un fronte che tendeva a non occuparsi del problema. In un momento di così grande difficoltà non si può dire alla giovane avvocatura di aspettare che passi l’epidemia per abilitarsi perché perderebbe chance di formazione e di lavoro. Ricordiamoci che i primi a essere tenuti fuori dal tribunale, per via dell’emergenza, sono stati proprio i praticanti. Abbiamo chiesto che la prova d’esame sia modellata diversamente, mantenendo il suo carattere selettivo e allo stesso tempo consentendo ai praticanti selezionati di diventare avvocati prima del prossimo esame scritto di dicembre 2021. L’avvocatura si è mossa lentamente a livello nazionale, con l’Organismo congressuale forense che ha fornito però una soluzione che non potrà consentire di esaurire l’esame 2020 prima dell’inizio di quello del 2021. Se si prevedono tre prove, infatti, bisogna considerare che nasceranno sicuramente delle problematiche logistiche legate all’epidemia tuttora in corso. La formula della prova unica, invece, può essere la soluzione più praticabile. Mi auguro che il governo affronti questo problema e che sia all’attenzione del neo ministro Cartabia. Per quest’anno possiamo ipotizzare una soluzione emergenziale, stante il fatto che non sarà un esame facilitato ma compresso in un tempo più ridotto.

Concludiamo con le prossime sfide che attendono l’Ordine di Milano. A livello nazionale l’avvocatura pare assente, tanto che numerose iniziative sono nate proprio a livello locale. Cosa ne pensa?
A livello nazionale è inutile negare che ci sia un problema di afasia. Da ultimo, trovo assurdo il fatto che le specializzazioni non vengano difese dal Consiglio nazionale forense. È una situazione che non è più sostenibile e vorrei chiarire il fatto che l’Ordine di Milano è molto attivo nella fase della comunicazione proprio per supplire all’afasia di altri. La nostra stella polare è la tutela dei diritti del futuro e siamo in una città che è un banco di prova molto impegnativo perché ricomprende tutte le tipologie di avvocati e possiede attività economiche a 360 gradi. Parteciperemo alla Milano Digital Week e stiamo ragionando su come digitalizzare interamente il Consiglio dell’Ordine. Il Coa deve infatti essere moderno e parlare direttamente con l’Amministrazione pubblica, a beneficio degli iscritti e dei cittadini che vengono difesi dai nostri iscritti. Stiamo ragionando su questo progetto insieme al mondo universitario. L’altro versante su cui ci stiamo muovendo è il sostegno agli uffici giudiziari che sono ancora indietro rispetto alla digitalizzazione o a quelli che possono essere digitalizzati ma che hanno a che fare con un’utenza lontana dal mondo digitale. In questo senso va il progetto che abbiamo aperto con gli uffici degli amministratori di sostegno, che ricevono istanze di avvocati e di familiari di persone in difficoltà. Il progetto consiste nel trasformare queste istanze cartacee in digitale. Allo stesso modo, vorremmo aiutare l’ufficio del giudice di pace nella creazione di una piattaforma digitale che il ministero della giustizia dovrà varare quanto prima. L’ufficio gdp, infatti, riceve materiale da un’utenza disintermediata che arriva in modo disordinato e che va inquadrato e inserito in una procedura automatizzata. Stiamo mettendo il nostro impegno in questo percorso anche se spesso incontriamo difficoltà da parte dell’autorità giudiziaria.

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