Avvocati verso la parità di genere

Le posizioni apicali negli studi sono ancora presidiate dagli uomini, sebbene cresca l’attenzione alla leadership femminile. Ma restano limiti e pregiudizi.

Nel 1881 Lidia Poët fu la prima donna nella storia della Repubblica italiana ad essere ammessa all’Ordine degli avvocati.

Una decisione che, nonostante fosse prevista dalla legge, fece molto discutere, tanto da indurre la Corte di Appello di Torino, appena due anni dopo, ad annullare l’iscrizione.

Dopo quell’episodio, si è dovuto attendere il 1963 per vedere rimosso ogni ostacolo all’esercizio di funzioni giurisdizionali da parte delle donne. Certamente, negli ultimi 50 anni, di progressi negli studi legali ne sono stati fatti, soprattutto in direzione di una parità numerica.

Gli ultimi dati di Cassa forense, relativi agli iscritti registrati nel 2017, attestano una “femminilizzazione della professione” evidenziando una crescita esponenziale delle donne che, se nel 1995 rappresentavano il 21% del ceto forense, nel 2017 sono salite al 48%.

Il discorso cambia, però, quando si parla di rappresentanza istituzionale e incarichi apicali: qui la componente femminile risulta ancora in svantaggio, sia nella professione forense che in altri settori.

A dispetto di quest’ultima considerazione, ci sono, però, realtà legali dove le donne hanno incarichi di grande responsabilità, guidano team di avvocati, hanno fondato il loro studio e gestiscono mandati di enorme valore per lo sviluppo del business.

È questo il caso di tre professioniste, che, intervistate da Le Fonti Legal, hanno espresso la loro opinione sul tema diversity, raccontando la loro esperienza lavorativa: Leah Dunlop, responsabile del dipartimento di diritto societario, fusioni e acquisizioni di Hogan Lovells in Italia e co-head della stessa practice a livello europeo; Chiara Padovani, penalista, fondatrice dello Studio legale Padovani; Catia Tomasetti, alla guida del dipartimento banking di BonelliErede e, da maggio scorso, nuovo presidente della Banca Centrale della Repubblica di San Marino.

L’ultimo Rapporto Censis ha registrato una cresciuta delle quote rosa nell’avvocatura. Quali fattori hanno determinato questo trend?

Dunlop Innanzitutto il desiderio e il diritto, di tante giovani donne di completare gli studi e intraprendere una professione che permetta loro di organizzare, in relativa autonomia, il proprio lavoro e quello dei collaboratori soddisfando allo stesso tempo le proprie ambizioni. Si aggiungono poi le esigenze, sia del paese sia delle famiglie, di un maggiore apporto economico e di una ricerca di forza lavoro sempre più qualificata. È interessante notare che il Rapporto parla della “femminilizzazione” dell’avvocatura, mentre preferirei caratterizzarlo come un riequilibrio di genere, che rispecchia più fedelmente la composizione della nostra società.

Padovani Stiamo invero assistendo ad un radicale cambiamento rispetto al tradizionale atteggiamento che considerava la professione forense, specialmente quella esercitata in ambito penale, non “adatta” alla donna. Il mondo femminile sta sempre più maturando la consapevolezza che coniugare la propria passione, il proprio talento professionale con la propria vita privata è impresa, sì complessa, ma certamente possibile e, direi, doverosa.

Tomasetti Il dato dell’ultimo Rapporto Censis dimostra la capacità delle donne di poter emergere anche in contesti meno favorevoli, come quello della professione legale prevalentemente e tradizionalmente maschile. Ma non credo sia solo un tema di numerosità, ritengo sia anche un discorso qualitativo e di approccio: le donne possiedono grande capacità organizzativa, empatia e visione strategica, elementi fondamentali in questa professione.

In posizioni apicali, sono ancora troppo poche le donne presenti. Per quale motivo?

Dunlop Se il riequilibrio avviene all’inizio della carriera, è chiaro che le posizioni apicali negli studi legali rimangono un’espressione delle promozioni all’interno di un bacino di candidati in cui gli uomini sono in maggioranza numerica. A prescindere dalle statistiche, credo che il pregiudizio inconscio tuttora remi contro la progressione di carriera delle donne. Possiamo identificare strumenti che favoriscono, e facilitano, una maggiore partecipazione femminile nello studio e nella sua gestione, tra cui il lavoro flessibile o da remoto, di grande sostegno alle avvocate (ed anche ai colleghi maschi) durante le diverse fasi della loro vita professionale e la trasformazione di rete di contatti e di mentoring, originalmente orientati sugli uomini, a modelli meno discriminatori.

Padovani Nelle realtà già avviate, magari guidate per tradizione da una radicata componente maschile, può essere a volte molto complicato per una donna conquistare adeguati spazi, e questo indipendentemente dai suoi meriti e dalle sue competenze. Non bisogna però dimenticare che l’impresa può risultare ardua ma non di certo impossibile.

Tomasetti Non credo sia un tema strettamente legato al mondo legale. Le donne hanno purtroppo ancora un basso livello di rappresentanza istituzionale o incarichi apicali, nonostante la normativa sulle quote rosa obbligatorie in Cda e organi di controllo delle aziende abbia dato una spinta positiva in questo senso. Nel contesto della professione legale esistono molti esempi virtuosi che evidenziano un cambio di tendenza, con professioniste al vertice di studi o comunque che ricoprono ruoli rilevanti all’interno delle rispettive organizzazioni.

Come avete vissuto la crescita professionale in un mondo storicamente maschile?

Dunlop Sbarcando nel mondo degli studi legali nel lontano 1983, a Londra, dopo il periodo di praticantato in Hogan Lovells, entrai nel dipartimento fiscale, dove conobbi il socio che diventò mio mentor (anche se il termine all’epoca non era di uso comune) e insieme con lui mi trasferì nel nuovo dipartimento di private equity. Il mio mentor era una persona illuminata che mi sfidava e supportava continuamente, regolandomi gli spazi per crescere e afferrare con tutte e due mani, le opportunità che si presentavano. Gli anni ‘80 e ‘90 a Londra sono stati anni straordinari per chi seguiva le operazioni di management buy out, e mi ritengo fortunatissima di aver seguito un numero molto elevato di operazioni innovative e complesse, ma anche molto divertenti. Mi considero fortunata ad avere avuto delle role models, come la nostra managing partner globale, da cui trarre idee per formare il mio stile professionale. Ma il tema ricorrente della mia carriera sono le sfide che ho accettato volentieri per crescere, come per esempio l’arrivo in Italia a 40 anni per aiutare nell’apertura dei nostri uffici italiani.

Padovani Fondare il mio studio è stato l’approdo di un processo per me naturale. Pur lavorando in un ambiente che, per retaggio, è da sempre caratterizzato da un elevato numero di uomini, specie nell’ambito della materia di cui mi occupo, il diritto penale dell’economia e della pubblica amministrazione, ho avuto la fortuna di svolgere gli anni della mia formazione in uno studio guidato da un avvocato donna. Questa circostanza ha fatto sì che non mi sia mai nemmeno posta il problema che potesse trattarsi di un’anomalia. Coglievo l’anomalia, semmai, nella presenza, pressoché esclusiva, del mondo maschile sia nel mondo forense, sia, soprattutto, nelle realtà aziendali con le quali mi rapportavo professionalmente. Non mi sono mai preoccupata di dover dimostrare ai colleghi uomini le mie capacità professionali.

Tomasetti Purtroppo nel mondo della finanza ancora oggi sono poche le donne che occupano posizioni di responsabilità. È stata questa una delle motivazioni principali che mi hanno spinto ad accettare la sfida. Più ci si abituerà a vedere donne in posizioni apicali e più facile sarà per le donne accedervi. A San Marino dopo 6 mesi dalla nomina della prima donna alla presidenza della Banca Centrale è stata nominata un ministro dell’economia donna. Il cambio culturale è in corso ed inarrestabile. Nel mio percorso ho avuto tante soddisfazioni professionali, che hanno bilanciato criticità e periodi difficili comunque non diversi rispetto a quelli che una donna rischia di affrontare nel corso della sua vita professionale anche in altri settori, soprattutto quando si ritrova ad occupare ruoli apicali.

Nella sua carriera si è divisa tra Regno Unito e Italia. Ci sono delle differenze in termini di diversity? 

Dunlop Nel Regno Unito i grandi studi (con più di 250 dipendenti) hanno l’obbligo legale di fare reporting sul divario retributivo di genere tra i loro dipendenti. Nonostante quest’obbligo non si estenda al gender pay gap tra i soci, è stato molto interessante vedere come la peer pressure (pressione tra pari) tra i grandi studi legali ha fatto sì che quasi tutti gli studi abbiano spontaneamente pubblicato anche i dati relativi al divario retributivo tra soci uomini e socie donne.

In un Ceo Summit di Le Fonti ha dichiarato che “la vera rivoluzione sarà quando non ci interrogheremo più sul ruolo marginale delle donne nell’avvocatura”. A che punto siamo in questo percorso?

Padovani Il percorso è ancora lungo. Non posso che ribadire che il vero problema è che si discuta non della donna quale professionista, ma della donna in quanto tale. Bisognerebbe prestare attenzione alla differenza tra un professionista preparato ed uno inadeguato. È fondamentale, allora, non solo che il mondo forense riconosca definitivamente la professionalità della donna depurata da ogni riferimento di genere, ma anche che noi stesse ci sentissimo sempre più adeguate ed autorizzate a svolgere la funzione dell’avvocatura, a seguire la nostra passione scientifica e lavorativa, libere da retaggi storico-sociali che vorrebbero imporci l’impossibilità di un connubio armonico e di successo tra la nostra vita professionale e quella privata.

Ci sono delle differenze, nella promozione della diversity, tra Studi legali e aziende? 

Tomasetti In questo momento osservo una maggiore attenzione alla valorizzazione della diversity all’interno delle realtà aziendali rispetto a quanto avviene negli studi legali. Le ragioni potrebbero essere storiche: come ho detto prima, la professione legale, e soprattutto la professione del legale “d’affari”, è tradizionalmente maschile e attualmente gli studi contemplano ai loro vertici più uomini che donne. Ma la situazione sta cambiando, complice anche la spinta delle realtà più grandi e strutturate che sono sempre più sensibili nei confronti di questo tema.

Cosa si può ancora fare per diffondere la valorizzazione dell’integrazione nel mondo legale?

Dunlop Spero che tutti, e soprattutto le persone in posizioni apicali, siano sensibilizzati ai vantaggi che gli studi legali traggono in termini di risultati e di innovazione da una maggiore diversità. Occorre costruire degli schemi e degli obiettivi che aiutino gli studi, gli ordini e l’avvocatura in generale a raggiungere questa parità tramite per esempio l’imposizione, volontaria, di quote all’interno degli studi per le candidate, un maggiore controllo e supporto alle giovani donne e agli uomini, negli anni in cui si trovano a gestire pressioni diverse, per motivi familiari e altro.

In termini di valorizzazione, il divario retributivo di genere è un problema soprattutto dal punto di vista della percezione del “peso” che le donne hanno all’interno degli studi, e del loro diritto di essere retribuite in maniera paritaria agli uomini per il lavoro svolto, i clienti procurati, il team gestito.

Padovani Finché parliamo di diversità facendo riferimento a categorie standard, come il genere, l’etnia, la religione, presupponiamo che, in partenza, vi sia un gap da colmare. È proprio questo atteggiamento che, secondo me, necessita di essere rivisto. Più che partire dalla constatazione di una differenza per poi tentare di valorizzarla così da rendere possibile l’inclusione, credo che sarebbe di gran lunga preferibile constatare che ogni individuo, a prescindere dalle categorizzazioni tradizionali, sia dotato di caratteristiche proprie e peculiari che lo rendono unico.

Riterrei, dunque, più corretto parlare in termini di differenza di competenze piuttosto che di genere o altro. Come ho già avuto modo di evidenziare nel corso del Ceo Summit di Le Fonti lo scorso maggio, noi avvocati penalisti, del resto, abbiamo l’onore di indossare in aula la toga che è uguale per tutti e che annulla così ogni asserita differenza e stereotipo.

Tomasetti È importante che all’interno degli studi legali, così come avviene più in generale nelle aziende o nel mondo della finanza, venga presa sempre più consapevolezza sui temi legati alla diversity, anche in termini di impatto sullo sviluppo del business.

Credo che già negli ultimi anni si siano compiuti enormi passi avanti in tal senso, e le statistiche menzionate ne sono la prova. Oggi, nella maggior parte dei casi, soci uomini e donne hanno pari responsabilità sia familiari sia all’interno degli studi e ciò è importante perché una donna avvocato non si trovi un giorno nella posizione di scegliere tra la famiglia e la propria carriera.

 Un consiglio che volete dare alle donne che intraprendono la carriera di avvocato.

Dunlop Siate curiose, e sfidatevi ogni giorno, ad ogni opportunità di crescita, perché se non lo fate voi difficilmente qualcun altro  lo farà al vostro posto. Non abbiate paura di sbagliare. Ma soprattutto siate voi stesse.

Padovani Il mio consiglio è esattamente il medesimo che darei ai giovani colleghi uomini: capire se si è spinti da una passione autentica per questa professione e, quindi, sostenerla quotidianamente con serietà, fiducia e studio scientifico. La professione forense in ambito penale comporta un impegno estremamente gravoso ed una dedizione genuina proprio per la solennità della funzione difensiva che siamo chiamati ad esercitare.

Tomasetti Si deve intraprendere questa professione solo se la si ama e, se la si ama, bisogna farla con passione. Nel momento in cui si abbia anche solo l’impressione di trovarsi davanti a situazioni discriminanti, bisogna armarsi di coraggio e buona volontà e contribuire in maniera attiva a far sì che le cose cambino! Inoltre vorrei consigliare alle mie giovani colleghe presenti e future di non credere mai alla bugia dell’alternatività tra carriera e famiglia. Gli studi legali migliori tutelano il diritto alla maternità ed anzi favoriscono l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Uno studio che non presidiasse e proteggesse tali valori sarebbe uno studio privo di futuro.

A cura di Federica Chiezzi

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