DAP, finalmente si cambia

Il Governo, su proposta del Ministro della Giustizia, ha nominato Carlo Renoldi capo del DAP, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.
La nomina è stata preceduta da molte critiche ed è stata osteggiata da alcuni gruppi politici, spalleggiati da sparuti organi di stampa, che ritenevano il dott. Renoldi, già Giudice di Tribunale e Magistrato di Sorveglianza a Cagliari, inadatto a ricoprire un ruolo che storicamente è quasi sempre stato affidato a Pubblici Ministeri. Gli venivano contestati alcuni interventi a favore della pronuncia della Corte Costituzionale che, a determinare condizioni, consentiva di concedere permessi premi agli ergastolani ostativi e di essere stato estensore, come giudice di cassazione, di sentenze “permissive” come quella che apriva alla possibilità di colloqui via Skype ai detenuti in regime di 41 bis. Insomma al magistrato si paradossalmente rimproverato da parte di alcuni (compresi i combattivi sindacati della Polizia penitenziaria) di aver condiviso decisioni dei Supremi Giudici della Repubblica. Ma il Ministro non si è fatto condizionare da queste sterili polemiche e il Governo ha confermato la nomina.
Ma quali sono le funzioni del DAP? Le più importanti sono la gestione amministrativa del personale penitenziario e delle risorse materiali (a cominciare dagli istituti di pena) e soprattutto la gestione dei detenuti e dell’esecuzione penale esterna (i condannati ammessi alle misure alternative).
Chi può ricoprire la carica di capo del DAP? La normativa di riferimento (Legge 15 dicembre 1990 n. 395) prevede che debba essere nominato o un magistrato di Cassazione con funzioni direttive superiori o un dirigente generale della P.A.
Da sempre la scelta è caduta su un magistrato e, quasi sempre (nove su 10 delle ultime nomine) su Procuratori della Repubblica (a volte cd antimafia) o Procuratori Generali.
Appare chiaro che l’aver fino ad oggi insediato al vertice del DAP un pubblico ministero ha voluto dire dare una certa impronta al dipartimento e cioè privilegiare un malinteso intento di garantire la sicurezza, sicurezza sociale e sicurezza nelle carceri. Del resto il Pubblico Ministero ha come compito istituzionale quello svolgere le indagini, individuare gli autori dei reati ed assicurarli alla giustizia, preoccupandosi che scontino le pene loro inflitte.
Gli esiti di questa politica governativa sono sotto gli occhi di tutti: sovraffollamento carcerario, scarsa attenzione alle misure alternative (il personale addetto, educatori ed assistenti sociali, è ridotto ai minimi termini), episodi di protesta anche violenta negli istituti, aumento del numero di detenuti che si sono tolti la vita, i gravi fatti di violenza posti in essere da agenti di polizia penitenziaria a Santa Maria Capo a Vetere.
Illuminata è invece la scelta del Ministro della Giustizia di porre a capo del DAP non un pm, ma un Magistrato di Sorveglianza (prima di essere applicato alla Corte di Cassazione il dott. Renoldi è stato a lungo al Tribunale di Sorveglianza di Cagliari).
Il Magistrato di Sorveglianza è il giudice deputato non solo a vigilare sull’organizzazione degli istituti carcerari con ampi poteri di ispezione (visite e colloqui nelle carceri, assunzioni di informazioni sullo svolgimento dei vari servizi), ma anche verifica che l’esecuzione della custodia dei detenuti sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti. Ma il compito più importante riservato a questi giudici è quello di sovraintendere sul percorso rieducativo e riabilitativo dei condannati decidendo se e quando concedere i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, verificando periodicamente l’andamento del percorso in atto e regolando la progressiva fuoriuscita del condannato dal circuito penitenziario e il suo progressivo rientro nel contesto sociale. Il lavoro del magistrato di sorveglianza è particolarmente delicato in quanto deve bilanciare l’esigenza di sicurezza che deve essere garantito alla società del liberi con la necessità di garantire ai detenuti la possibilità di redenzione e rientro nel tessuto sociale. Per fare questo loro lavoro i magistrati, sono coadiuvati da tutta una serie di esperti e specialisti che operano dentro e fuori gli istituti di detenzione e contribuiscono all’osservazione e all’approfondimento del percorso detentivo di ogni detenuto.
Insomma Il magistrato di sorveglianza è quel giudice che sovraintende all’esatta applicazione dell’art. 27 della Costituzione secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
E allora perché sorprendersi e preoccuparsi del fatto che se finalmente il Ministro della Giustizia ha nominato capo del DAP, e cioè capo dell’Ufficio che si occupa dei detenuti, anziché un Pubblico Ministero una magistrato di sorveglianza, e cioè un soggetto che conosce in profondità e meglio di chiunque altro la realtà carceraria e la normativa che la regola? E certo la scelta non è caduta su una giudice inesperto, ma su una personalità di grande esperienza, che per 10 annì è stato a contatto col mondo carcerario e da ultimo era approdato alla Corte di Cassazione dove si è ancora occupato di delicate questioni giuridiche attinenti proprio l’esatta applicazione dell’ordinamento penitenziario.
Buona quindi la scelta operata dal Governo.
Questa scelta fortemente voluta dal Ministro Cartabia va posta in relazione con il lavoro che ha svolto la commissione ministeriale presieduta dal Prof. Marco Ruotolo, incaricata di aggiornare e perfezionare le norme in tema di vita carceraria. Nella relazione finale della Commissione si leggono gli obiettivi che la commissione si è prefissata di raggiungere con il suo lavoro e che consistono nel puntare al “miglioramento della quotidianità penitenziaria, partendo da una visione costituzionale della pena, incentrata sui principi di umanizzazione e di rieducazione, sul valore del libero sviluppo della personalità attorno al quale ruota l’intera trama della Carta repubblicana. Allo stesso modo, il lavoro si è orientato nella direzione della valorizzazione di previsioni già contenute nell’attuale normativa penitenziaria, concernenti, tra l’altro, la responsabilizzazione del recluso, l’essenziale progressione trattamentale e la necessità di un costante rapporto con la società esterna. La nostra attenzione ha riguardato non solo le persone detenute, ma tutti coloro che operano in carcere, svolgendo ruoli delicatissimi, accomunati dall’obiettivo di accompagnare il singolo nel percorso di reinserimento sociale, garantendo l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti.”
Manca ora solo all’appello la riforma dell’ordinamento penitenziario nella parte che riguarda l’accesso alle misure alternative, riforma che potrà attingere all’immane lavoro degli Stati generali dell’esecuzione penale conclusosi poco prima dell’insediamento del governo Conte e del Ministro Bonafede che, di fatto, avevano vanificato l’intero lavoro portato a termine dai massimi esperti italiani di esecuzione penale.
Tutto fa pensare, però, che grazie all’azione del ministro Cartabia e alla nomina del nuovo capo del DAP si stia percorrendo un percorso virtuoso che porterà ad un complessivo miglioramento del nostro sistema carcerario nel rispetto ed applicazione dei precetti costituzionali.

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