Carcere, il ritorno alla normalità

Un lento e progressivo ritorno alla normalità anche per la popolazione carceraria. Sono riprese, infatti, quasi tutte le attività trattamentali, come la possibilità per i cosiddetti “articoli 21” di riprendere il lavoro all’esterno. Della situazione carceri a 18 mesi dallo scoppio della Pandemia abbia parlato con Alessandro Bastianello, coordinatore della sottocommissione carcere dell’Ordine degli avvocati di Milano.

Avvocato Bastianello dai primi di marzo dell’anno scorso le persone detenute oltre ad essere private della libertà hanno dovuto accettare ulteriori limitazioni. Cosa è cambiato da quei giorni ad oggi?
L’inizio dell’emergenza pandemica è stato traumatico per le persone detenute che da un giorno all’altro hanno visto ulteriormente limitata la loro libertà. In particolare nei primi tempi sono stati isolati nei loro singoli reparti e sin da subito sono stati sospesi i colloqui con i familiari e limitati quelli con i difensori per limitare l’accesso agli istituti. Bisogna anche considerare l’aspetto psicologico dell’incertezza circa quanto stava accadendo e quanto sarebbe durato. All’inizio infatti poco si sapeva e i detenuti ne sapevano ancora meno. Questa mancanza di informazioni precise sull’andamento della situazione sanitaria sia all’esterno e soprattutto all’interno dei vari istituti di pena aveva ingenerato una paura che era poi sfociata in diverse rivolte su tutto il territorio nazionale. Da quei momenti ad oggi assistiamo ad un lento ma progressivo ritorno alla normalità. Sono state riprese, anche se a rilento, quasi tutte le attività trattamentali compresa la possibilità per “gli articoli 21” di riprendere il lavoro all’esterno.

Durante il periodo pandemico sono stati emanati provvedimenti legislativi volti a decongestionare la cronica sovrappopolazione degli istituti di pena. Qual è stato l’impatto di tali provvedimenti?
L’impatto c’è stato ma del tutto insufficiente. È stata l’iniziativa del Tribunale di Sorveglianza che ha snellito le procedure per l’accesso in via provvisoria a misure alternative alla detenzione per chi ne aveva già i requisiti a contribuire maggiormente ad alleggerire la densità carceraria. In particolare per i soggetti a rischio sanitario si è fatto ampio ricorso alla sospensione dell’esecuzione della pena disponendo in molti casi che venisse applicata la detenzione domiciliare. Deve quindi essere riconosciuto al Tribunale di sorveglianza attraverso il superamento di alcune norme restrittive e facendo ricorso a norme preesistenti il merito di essere riusciti a contenere il rischio di contagio. Infatti i decreti ministeriali emanati in quel periodo sono apparsi agli interpreti più di facciata che di sostanza. Faccio riferimento in particolare alla previsione della detenzione domiciliare per pene molto brevi (anni 1 e mesi 6 di reclusione) con metodi di controllo elettronico di fatto indisponibili. Infatti a quell’epoca i braccialetti elettronici erano (come lo sono oggi) introvabili.

Lei è un appassionato di fotografia per cui se le dovessi chiedere un’immagine della situazione attuale quale sarebbe?
Come ho già detto sono ripresi i percorsi trattamentali e le altre attività rieducative. Si registra anche il ritorno ad iniziative quali eventi sportivi e commemorativi aperti al mondo esterno. Non si deve infatti trascurare che la pandemia ha mietuto vittime, oltre che tra le persone detenute, anche tra gli operatori penitenziari. Il corpo di polizia penitenziaria ha visto il sacrificio di diversi agenti che hanno perso la vita a causa del virus. Recentemente, presso il carcere di San Vittore, si è tenuto il primo trofeo dedicato a “Mario De Michele” sovrintende che ha perso la vita a causa delle complicazioni conseguenti all’infezione virale. Ho citato questo momento perché emblematico della voglia di dimenticare il peso sopportato in questo lungo periodo e di guardare con ottimismo al futuro. Sotto altri aspetti più tecnici si sono ripresi con le dovute precauzioni i colloqui in presenza con gli avvocati e i familiari anche se rimangono alcune criticità. Mi riferisco in particolare agli arrestati in attesa di convalida o ai c.d. “nuovi giunti” che possono incontrare il proprio difensore solo dopo l’esito del tampone con importanti ritardi nell’esercizio del diritto di difesa.

A proposito dei colloqui, durante il lockdown sono stati garantiti con i detenuti e i familiari attraverso le video chiamate. Ritiene che tale modalità possa essere mantenuta anche in futuro?
Al momento del lockdown i colloqui con i detenuti con i familiari non potevano essere intrattenuti in altro modo. Infatti in quel periodo vi erano significative limitazioni della possibilità di movimento che impedivano di fatto i colloqui in presenza con forti limitazioni anche per gli avvocati. Non solo ma la necessaria limitazione agli accessi negli istituti aveva fatto sì che il carcere fosse molto più chiuso. Pertanto le videoconferenze o i colloqui mediante l’uso del telefono erano l’unica alternativa. Tant’è vero che l’Ordine degli avvocati di Milano si è fin dai primi momenti attivato per dare un contributo anche economico così da supplire alla mancanza di strumenti disponibili. Non dimentichiamo infatti che fino a quei giorni erano scarsamente utilizzate modalità di colloquio diverse dalla presenza. Sono stati messi a disposizione degli istituti milanesi sia computer che telefoni cellulari a disposizione sia dei detenuti che degli avvocati. Per quanto riguarda il futuro è da auspicare che tali modalità vengano mantenute. Non in via esclusiva ma affiancando le modalità tradizionali. È infatti di palese evidenza che non sempre vi è la necessità di essere presenti negli istituti (mi riferisco agli avvocati) e pertanto la possibilità di “incontrare” il proprio assistito in video è una comodità in più tenendo conto che, non di rado, l’assistito è detenuto in un carcere distante anche parecchie centinaia di chilometri. Per quanto riguarda i colloqui con i familiari vi è da evidenziare che la video conferenza offre spesso un conforto in più per il detenuto. Infatti con l’introduzione di questa modalità i detenuti hanno avuto grazie al lockdown la possibilità “di tornare a casa” rivedendo i luoghi a loro cari anche se solo in forma virtuale. Anche questa è una delle ragioni che impongono il mantenimento di tali sistemi.

Il Garante nazionale per le persone private della libertà nella relazione presentata di recente al parlamento ha indicato che vi sono oltre 17.000 persone detenute che devono scontare una pena inferiore ai tre anni. Si tratta di un numero che certamente incide sulla densità della popolazione carceraria. Quali i rimedi?
Sicuramente il provvedimento risolutivo potrebbe essere solo un atto di clemenza quale è l’indulto. Infatti la maggior parte di queste persone, pur avendo il limite di pena che consentirebbe di accedere ad una misura alternativa come l’affidamento in prova ai servizi sociali o la detenzione domiciliare non dispone di un domicilio idoneo per l’esecuzione della misura. Non esistono nemmeno, se non in numero estremamente esiguo, soluzioni abitative temporanee utilizzabili a tale fine. Si spera che il mutato clima politico unito alla sensibilità dell’attuale Ministro della giustizia siano terreno fertile per provvedimenti come quello indicato.

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