Il whistleblowing tra privacy e modelli organizzativi

C’è chi la considera un passo avanti alla lotta alla corruzione e chi ne teme un abuso ingiustificato. Ma la nuova legge mette d’accordo gli esperti sull’importanza della riservatezza e del rispetto della responsabilità amministrativa

Dagli enti pubblici alle aziende private è stato regolamentato anche in Italia il whistleblower. Ovvero quello che in lingua inglese, e più nello specifico negli Stati Uniti d’America, identifica un individuo, e quindi anche un dipendente, che denuncia pubblicamente o riferisca alle autorità attività illecite o fraudolente.
[auth href=”https://www.agorapenale.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Il via libera definitivo all’applicazione anche in Italia del whistleblower è arrivato lo scorso novembre dalla Camera dei deputati. La legge 179 si compone di tre articoli e mira soprattutto alla tutela dei lavoratori rafforzando quanto già previsto, per il settore pubblico, dalla cosiddetta normativa Severino del 2001. A ulteriore tutela dell’identità del whisteblower è previsto anche che l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) predisponga, sentito il Garante per la protezione dei dati personali (privacy), le linee guida per la presentazione e la gestione delle segnalazione. Linee che a gennaio sono state dettate, per le aziende aderenti all’associazione, da Confindustria, in una sorta di disciplina illustrativa sui comportamenti da adottare. Tenendo conto che la legge prevede che solo gli enti e le aziende che si dotino di modelli di organizzazione interna atti a prevenire e gestire comportamenti illeciti dei dipendenti, evitino di subire la responsabilità penale qualora questi atti si verifichino anche a loro insaputa. E adesso questi modelli organizzativi devono tenere conto anche delle norme che riguardano il whistleblowing.
In particolare, per quanto riguarda il settore privato, la legge stimola l’adozione dei sistemi di whistleblowing richiedendo di aggiornare i modelli di organizzazione previsti dal decreto legislativo 231/2001. La novità, quindi, interessa solo le imprese che adottano i modelli organizzativi finalizzati alla prevenzione dei reati. La nuova normativa prevede l’introduzione all’interno di questi modelli di uno o più canali che consentano ai lavoratori di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite. Il punto delicato di questo meccanismo sta nel bilanciamento, che in concreto non sarà facile ma si vedrà nel corso della sua applicazione, tra le esigenze di tutela del segnalante e la prevenzione di un uso scorretto di uno strumento da maneggiare con cura. È evidente, infatti, che per agevolare l’utilizzo effettivo del whistleblowing devono essere assicurate delle condizioni tali da garantire alla persona che effettua la denuncia la piena riservatezza e un’adeguata strumentazione per fronteggiare eventuali azioni ritorsive da parte dei danneggiati.
La legge introduce queste garanzie per il segnalante, stabilendo il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei suoi confronti con la conseguente nullità delle misure fondate su questi motivi (per esempio il licenziamento, il mutamento di mansioni, fenomeni di mobbing). Inoltre, la nuova disciplina pone in capo al datore di lavoro l’onere di provare che alcuni atti quali sanzioni disciplinari, demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o altra misura organizzativa avente effetti negativi sulle condizioni di lavoro del dipendente, non hanno nulla a che fare con la segnalazione fatta da quest’ultimo. Il rischio di un uso scorretto dovrebbe, invece, essere scongiurato, nelle intenzioni del legislatore, con sanzioni disciplinari per le segnalazioni che risultino infondate a causa di dolo o colpa grave del segnalante. Questa limitazione però potrebbe non bastare a reprimere un utilizzo distorto dello strumento.

L’amministrazione pubblica. Per quanto riguarda il settore pubblico, quello che per primo è stato interessato da norme riguardanti il whistleblowing, a tutela del dipendente che denuncia eventuali condotte illecite al responsabile anti corruzione, oppure all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, all’autorità giudiziaria o alla magistratura contabile, la legge stabilisce specifiche garanzie, volte a difenderlo da eventuali ritorsioni. L’aspetto della riservatezza è trattato invece con regole diverse dal settore privato. Al fine di rimuovere, nel denunciante, ogni timore circa le possibili conseguenze negative di una denuncia, la legge stabilisce infatti che l’identità del dipendente pubblico che segnala un illecito non può essere rivelata, con tutele specifiche in caso di procedimento penale e nell’ipotesi in cui venga avviata un’azione disciplinare. Nel primo caso, l’identità del segnalante è coperta del segreto, con le forme e le modalità previste dal Codice penale. Nell’ipotesi di avvio di un procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, se la contestazione si fonda su accertamenti ulteriori e distinti rispetto alla segnalazione. Se invece l’intera contestazione disciplinare è fondata sulla segnalazione e l’identità del segnalante è indispensabile ai fini della difesa dell’incolpato, la legge dà un diritto di veto allo stesso segnalante: questo dipendente può, infatti, dare o negare il consenso alla rivelazione della sua identità. La riservatezza è tutelata anche nei procedimenti di fronte alla Corte dei conti: fino alla chiusura della fase istruttoria non può essere rivelata l’identità del segnalante. Le forme di tutela della riservatezza e quelle contro gli atti ritorsivi non si applicano invece verso il dipendente pubblico del quale sia accertata con sentenza di primo grado la responsabilità penale per diffamazione, calunnia o altri reati commessi attraverso la segnalazione, oppure la sua responsabilità civile per lo stesso titolo.
In questo senso, cioè per quanto riguarda la Pubblica amministrazione, l’articolo 1 delle norme approvate definitivamente lo scorso novembre dal Parlamento, modifica l’articolo 54-bis del Testo unico del pubblico impiego (Dlgs n. 165 del 2001), introdotto come detto dalla legge Severino che aveva già accordato un prima forma di tutela per il segnalante, prevedendo un vero e proprio sistema di garanzie per il dipendente. La nuova disciplina stabilisce, anzitutto, che colui il quale, nell’interesse dell’integrità della Pa, segnali al responsabile della prevenzione della corruzione dell’ente (di norma un dirigente amministrativo, negli enti locali il segretario) o all’Anac o ancora all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro, non possa essere, per motivi collegati alla segnalazione, soggetto a sanzioni. Quindi demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro. L’eventuale adozione di misure discriminatorie va comunicata dall’interessato o dai sindacati all’Anac che a sua volta ne dà comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia. In questi casi l’Anac può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile che non svolga le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. La misura della sanzione tiene conto delle dimensioni dell’amministrazione. Spetta poi all’amministrazione l’onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente comunque sono nulli. Il segnalante licenziato ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. Le tutele invece non sono garantite nel caso in cui, anche con sentenza di primo grado, sia stata accertata la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave.

Il settore privato. L’articolo 2 della legge sul whistleblower estende al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell’ente di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio. La disposizione dunque modifica l’articolo 6 del Dlgs 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, con riguardo ai modelli di organizzazione e di gestione dell’ente idonei a prevenire reati. In particolare, sono aggiunti all’articolo 6 tre nuovi commi. Il comma 2-bis, relativo ai requisiti dei modelli di organizzazione e gestione dell’ente prevede uno o più canali che, a tutela dell’integrità dell’ente, consentano a coloro che a qualsiasi titolo rappresentino o dirigano l’ente, segnalazioni circostanziate di condotte costituenti reati o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte. Tali canali debbono garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione, e la modalità informatica è uno strumento necessario, e non eventuale, del canale a tutela della riservatezza dell’identità del segnalante. Inoltre si chiarisce che le segnalazioni devono fondarsi su elementi di fatto che siano “precisi e concordanti”.
I modelli di organizzazione devono prevedere sanzioni disciplinari nei confronti di chi violi le misure di tutela del segnalante. Mentre si è previsto l’obbligo di sanzionare chi effettua, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino infondate. Il comma 2-ter prevede invece che l’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti segnalanti possa essere oggetto di denuncia all’ispettorato nazionale del lavoro. Il comma 2-quater sancisce inoltre la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del segnalante. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni o qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. Come nel settore pubblico infine è onere del datore di lavoro dimostrare che l’adozione di tali misure siano estranee alla segnalazione mossa dal dipendente.

La rivelazione del segreto. L’articolo 3, con riguardo alle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nel settore pubblico o privato, introduce come giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio, professionale (art. 622 c.p.), scientifico e industriale, nonché di violazione dell’obbligo di fedeltà all’imprenditore, il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell’interesse all’integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private) nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni. La giusta causa opera dunque come scriminante, nel presupposto che vi sia un interesse preminente (in tal caso l’interesse all’integrità delle amministrazioni) che impone o consente tale rivelazione. Costituisce invece violazione dell’obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito. In questi casi non trova dunque più applicazione la giusta causa e sussiste la fattispecie di reato a tutela del segreto.

Parla Fabrizio Daverio, socio fondatore dello studio legale Daverio & Florio.

Che giudizio dà della nuova legge sul whistleblowing?
Non si tratta di una novità perché sistemi di segnalazione protetta sono ampiamente diffusi in ambito anglo-americano e presso le multinazionali. E anche in Italia essi erano già previsti nel comparto pubblico e per le aziende quotate, le banche e altri settori. Si tratta di uno strumento utile sebbene si esponga anche a un uso abusivo. Devono essere giudicate con favore le procedure chiare, semplici e protettive che possono incentivare le denunce di comportamenti illeciti ma, nello stesso tempo, bisognerà evitare che queste avvengano in modo non corretto per interessi personali.
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Quali sono gli aspetti rilevanti delle nuove norme?
La legge n.179 vorrebbe essere una normativa di “chiusura”, sia per il settore pubblico sia per il settore privato. Essa si rivolge a tutte le società, grandi e piccole. La tecnica che il legislatore ha seguito per le aziende private è quella di inserire il whistleblowing nel decreto legislativo 231 che riguarda la responsabilità amministrativa delle società nel caso sia commesso un reato in ambito aziendale. La legge 179 non detta termini particolari né prevede sanzioni, ma è evidente il grande interesse delle aziende di dotarsi di sistemi adeguati, per evitare di incorrere in responsabilità indiretta nel caso che le pratiche illecite configurino reati. Nel settore pubblico il whistleblowing può avere per oggetto qualsiasi condotta illecita. Le linee guida dell’Anac in vigore già dal 2015 prevedono che esso possa riguardare anche casi di “sprechi” o “nepotismi” o “mancato rispetto dei tempi procedimentali. Nel settore privato il whistleblowing deve riguardare invece, a quanto sembra, i reati-presupposto di cui al dlgs 231 e cioè i casi in cui scatta la eventuale responsabilità amministrativa da reato. Per evitare di costringere le aziende a continue e defatiganti istruttorie, la legge, molto opportunamente, ha stabilito che, sempre nel settore privato, le denunce tramite whistleblowing devono essere circostanziate e dotate di elementi precisi e concordanti.

Quali altri aspetti ritiene importanti?
La legge sancisce una tappa importante nella cultura della legalità. Stabilisce che come ci sono gli “insider” cattivi che trafugano notizie per il loro interesse così ci possono essere gli “insider” buoni che diffondono notizie per l’interesse alla legalità. Sono previste norme molto rigorose per proteggere la riservatezza della segnalazione. E, soprattutto, la 179 vieta ritorsioni e discriminazioni contro gli autori di segnalazioni. Si tratta di principi già applicati in più casi dalla giurisprudenza e che qui vengono codificati. Una parte molto interessante, infine, è quella che prevede che le aziende possano, e anzi debbano, sanzionare chi effettua “con dolo o colpa grave” segnalazioni infondate. La colpa grave non è definita ma è chiaro l’intento del legislatore di reprimere l’abuso del “segnale d’allarme” come può avvenire su un treno.

Parla Raffaella Quintana, head of Wcc Investigation & Compliance di Dla Piper

L’Italia ha fatto un passo avanti nel combattere gli illeciti e la corruzione negli enti pubblici e nelle aziende private?
La legge approvata a novembre è da accogliere positivamente, considerata l’efficacia ai fini della lotta alla corruzione che questo strumento ha già dimostrato di avere in quei Paesi che lo hanno disciplinato già da tempo.

Quali sono gli aspetti più rilevanti?
Il cuore normativo è senza dubbio rappresentato dalla necessaria tutela della riservatezza del denunciante. E la predisposizione di canali di segnalazione, anche informatici, che ne garantiscano la riservatezza. Inoltre stabilisce, a tutela di chi fa emergere le irregolarità, che il denunciante non possa essere sanzionato, demansionato, licenziato o trasferito. Se ad esempio il datore di lavoro decidesse di licenziare il dipendente segnalante gli toccherebbe l’onore di dimostrare l’estraneità alla segnalazione.

Quali sono i punti critici della nuova legge?
Nel caso degli enti privati, per esempio, non viene specificata come vada garantita la riservatezza. Nello stesso tempo non vengono forniti elementi di dettaglio sui canali che devono essere adottati per le denunce, comprese le modalità informatiche e non obbliga a prendere in considerazione le denunce anonime demandando, in questo caso, alla buona volontà di chi le riceve. Non c’è inoltre una chiara indicazione su come, una volta ricevute, le segnalazioni debbano essere trattate.

Questo significa che questa legge non servirà a molto?

Ripeto, si tratta di un positivo passo in avanti in particolare per quanto riguarda la tutela della riservatezza del segnalante. Però non mi aspetto che sovverta la situazione tenendo conto anche del fatto che nella maggior parte dei casi gli enti più organizzati già prevedevano modelli di comportamento in tal senso. Comunque, sebbene non eclatanti, i dati diffusi annualmente dall’Anac sulle segnalazioni di comportamenti illeciti nella Pubblica amministrazione, dopo l’introduzione della legge Severino, mostrano che qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta. Certo, se fosse stato previsto un fondo per risarcire i danni che potrebbero subire chi denuncia atti illeciti, si pensi alle ricadute sulla posizione lavorativa, piuttosto che una percentuale, come avviene in America, sulle somme recuperate, l’incentivo a denunciare sarebbe stato maggiore.

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