Il San Vittore non si sposta

Valentina Alberta, fresca di nomina nel consiglio direttivo della Camera Penale di Milano per il prossimo triennio, si sofferma su un tema che si apre spesso in occasione delle elezioni comunali: quello del carcere San Vittore e di un suo eventuale spostamento. Vediamo perché il San Vittore ormai non è più semplicemente un carcere, ma un luogo storico e simbolico per Milano. Proprio per via della sua posizione, strategica anche dal punto di vista logistico.

Carcere e territorio, quali novità potrebbero arrivare dalle imminenti elezioni locali?
Si è aperto in questi giorni il dibattito, tutt’altro che nuovo, sulla collocazione del carcere cittadino. San Vittore non è semplicemente una casa circondariale in città, ma un luogo storico, simbolico, aperto alla cittadinanza. Eventi come la prima della Scala proiettata nella Rotonda sono diventati ormai una tradizione, come è divenuto consuetudine che partecipino ad essa altri rappresentanti istituzionali insieme a semplici cittadini. L’esempio della rappresentazione teatrale è solo uno dei tanti. Prima che la pandemia si abbattesse sul mondo delle carceri in maniera più drastica rispetto al resto del mondo, imponendo l’isolamento della comunità carceraria ma soprattutto dei detenuti, gli incontri con la società nel carcere di San Vittore erano la normalità consolidata da anni. Moltissime occasioni di visita sono state create anche nella prospettiva di far conoscere quel mondo ai cittadini e di rendere le mura “di vetro”. La trasparenza è certamente il migliore antidoto rispetto alle situazioni di illegalità che purtroppo sono emerse in epoca recente all’interno di alcuni istituti. Quando le porte del carcere milanese – come di tutte le carceri italiane – si sono chiuse a causa del Covid sia in uscita (ai detenuti sono state impedite la partecipazione alle udienze e la fruizione di permessi premio, ad esempio) che in entrata (è stata esclusa la possibilità di incontro con i propri cari, ma anche l’ingresso dei volontari, che costituiscono una porzione assolutamente maggioritaria delle attività offerte ai detenuti dall’istituzione penitenziaria), San Vittore è rimasto un simbolo. Il simbolo della “porosità” del carcere, il simbolo della integrazione tra il dentro e il fuori, della proiezione verso il reinserimento sociale attraverso le occasioni di incontro con la città, intesa come territorio e società civile. In sostanza, credo che il carcere in città sia la realizzazione sia simbolica che effettiva della finalità di reinserimento sociale che l’esecuzione penale deve secondo la Costituzione avere, e della necessità che non si dimentichi chi è detenuto, non fosse altro che nella prospettiva di favorire il recupero in funzione di una diminuzione del rischio di recidiva e dunque di una maggiore sicurezza sociale.

Il “mondo” del carcere non è popolato solo dai detenuti, chi sono e come vivono gli altri protagonisti di questo ambiente?
Spesso si dimentica anche che il carcere è spesso il luogo in cui gli appartenenti alla polizia penitenziaria non solo lavorano per molte ore ma permangono anche oltre l’orario lavorativo. Infatti, è tutt’altro che infrequente la situazione di chi vive nelle caserme interne agli istituti, in un’ottica di pendolarismo spesso con regioni del sud Italia. In questo modo, il personale di custodia non si integra in alcun modo nel tessuto sociale e gli effetti in termini di qualità della vita possono essere molto forti. Un carcere cittadino consente una maggiore integrazione con il territorio anche per il personale. Per quanto riguarda la casa circondariale di Milano San Vittore non va dimenticato che una parte dell’intera area ospita le palazzine dove vive il personale della polizia penitenziaria. Con loro ci sono anche le famiglie con figli che frequentano le scuole del quartiere e un eventuale spostamento dell’istituto comporterebbe un inevitabile impatto anche sulle loro vite.

Milano ha tre istituti penitenziari, quali sono le peculiarità di San Vittore?
Opera e Bollate sono “Case di Reclusione” mentre San Vittore e “Casa Circondariale” ovvero un luogo in cui sono detenute le persone in attesa di giudizio o quelle condannate a pene brevi. Non va quindi dimenticato che San Vittore è il luogo in cui sono detenute le persone in custodia cautelare che devono poter essere tradotte nel Palazzo di Giustizia per assistere al proprio processo. La vicinanza della struttura al Tribunale è certamente un elemento positivo sul piano della logistica delle traduzioni degli imputati. Il fatto che in questa particolare fase storica gli imputati detenuti stiano partecipando ai processi mediante collegamenti telematici (spesso qualitativamente assai scadenti) non deve far dimenticare che una partecipazione piena non può che essere quella fisica, accanto al proprio difensore, come impone di regola il codice di procedura penale. I detenuti devono tornare al più presto ad assistere in presenza alle udienze. Il carcere cittadino ha dunque anche questa ragione di rimanere dov’è, fino a che le aule giudiziarie rimarranno nello storico edificio di Corso di Porta Vittoria.

San Vittore è un carcere antico, non crede che una struttura nuova posso contribuire in maniera importante al miglioramento della qualità della vita delle persone detenute?
È chiaro che la situazione strutturale di San Vittore non è ottimale. Tre raggi sono chiusi da tempo, ma sono stati effettuati stanziamenti importanti per i lavori di ristrutturazione. Chi propone la costruzione di strutture più moderne fuori città non dice nulla sui costi di un’operazione del genere rispetto a quelli della ristrutturazione già messa a bilancio. Per non dire delle difficoltà che notoriamente vi sono a far accedere familiari e volontari quando le strutture penitenziarie sono lontane dalla città. Certamente, i nuovi istituti penitenziari devono essere costruiti secondo logiche diverse dal modello Panopticon di San Vittore, che presupponeva una detenzione “chiusa” con una semplice funzione di sorveglianza del personale; nell’ambito degli Stati Generali dell’esecuzione penale, il gruppo di esperti partecipanti del Tavolo 1 hanno in effetti valutato criteri assai più moderni di edilizia penitenziaria, ovviamente orientati alla valorizzazione del principio di responsabilità del detenuto e della valorizzazione delle attività trattamentali e comuni. Da qualche mese, una commissione è stata nominata presso il ministero della Giustizia proprio al fine di riprendere quel lavoro e di definire e proporre un modello di architettura penitenziaria coerente con l’idea di rieducazione, da un lato, ed elaborare interventi puntuali di manutenzione sulle strutture esistenti, dall’altro. I risultati del lavoro di questa commissione, peraltro, potranno contare sul fondo complementare del PNRR per un importo di più di 130 milioni di euro.

Il carcere di San Vittore e Milano, un legame particolare?
Certo il carcere di San Vittore fa parte della storia della città tanto che finire “al du’” in dialetto Milanese significa andare in prigione, San Vittore è al due di Piazza Filangeri. San Vittore deve restare negli occhi e nel cuore dei milanesi, per non rompere il legame con territorio e società civile. Piuttosto, si deve investire sulla riduzione del sovraffollamento, in modo da restituire alla struttura la propria vivibilità e consentire la progettualità che l’ha sempre contraddistinta, anche grazie a direttori di particolare sensibilità che hanno sempre coltivato le potenzialità del carcere di piazza Filangieri.

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