Detenuti, le criticità dei processi

Durante il periodo emergenziale l’imputato detenuto ha partecipato al suo processo quasi sempre in video collegamento. La traduzione dell’imputato dal luogo di detenzione a quello di celebrazione del processo è stata infatti ridotta il più possibile con la motivazione di contrastare la diffusione del famigerato virus.
Le udienze dibattimentali tendono pertanto a svolgersi con la presenza in aula del giudice, del suo ausiliario e di tutte le parti processuali ma senza quella dell’imputato detenuto, che è sempre più spesso presente solo virtualmente (ovvero mediante un complicato collegamento video con il luogo di detenzione). Se è pur vero che l’imputato può anche scegliere di farsi processare in sua assenza, ciò non giustifica tout court che la partecipazione fisica al suo processo non sia più necessaria, ritenendo sufficiente la mera presenza dietro uno schermo.
Questo modo di procedere, originariamente previsto solo per una determinata tipologia di reati – di rilevante gravità – (criminalità organizzata, terrorismo, traffico internazionale di sostanze stupefacenti etc., indicati nell’articolo 51, comma 3 bis, nonché nell’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice di procedura penale), è stato esteso a tutti i processi mediante l’introduzione dell’art. 221, comma 9, del Decreto Legge n. 34 del 19 maggio del 2020 secondo cui “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 146 bis e 147 bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, la partecipazione a qualsiasi udienza penale degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere o detenuti per altra causa e dei condannati detenuti è assicurata, con il consenso delle parti e, ove possibile, mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministro della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 del citato articolo 146 bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo n. 271 del 1989. Il consenso dell’imputato o del condannato è espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale. L’udienza è tenuta con la presenza del giudice, del pubblico ministero e dell’ausiliario del giudice nell’ufficio giudiziario e si svolge con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione il giorno, l’ora e le modalità del collegamento”.
Pertanto, con l’entrata in vigore del citato Decreto Legge (n. 34 del 19 maggio del 2020 che ha modificato l’art. 83 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020), la disciplina della partecipazione al dibattimento in video collegamento del detenuto di cui all’art. 146 bis delle norme di attuazione del c.p.p. non viene più riservata ai citati gravi delitti, ma viene estesa indistintamente a tutti i reati per cui si procede.
Ciò significa che le due presunzioni che hanno ispirato gli automatismi che caratterizzano l’art. 146 bis delle norme di attuazione del c.p.p. ovvero la necessarietà della partecipazione a distanza per determinate categorie di soggetti e la piena surrogabilità della presenza fisica in aula, valgono adesso per i soggetti detenuti indipendentemente dal reato per cui si procede.
Occorre però evidenziare che – in concreto – ad oggi la maggior parte dei processi disciplinati dall’art. 221, comma 9, del Decreto Legge n. 34/2020 (per non dire la quasi totalità) non si svolgono nel rispetto di quanto previsto dall’art. 146 bis delle norme di attuazione del c.p.p.
Le udienze vengono infatti celebrate mediante l’utilizzo di applicazioni internet quali Teams o Skype scaricate sui pc presenti nelle sale colloquio e nelle aule d’udienza, luoghi che nella maggior parte dei casi non sono attrezzati per garantire il rispetto delle modalità di collegamento previste dall’art. 146 bis delle norme di attuazione del c.p.p. Durante queste udienze il difensore che si trova in aula, per poter conferire con il proprio assistito che invece si trova in carcere, è spesso costretto a chiedere al giudice di sospendere il processo per poter conferire in modo riservato con l’assistito. A tale richiesta segue solitamente la scena surreale che vede il giudice alzarsi ed uscire dall’aula ordinando agli altri astanti di fare lo stesso per consentire al difensore di avere un colloquio riservato in viva voce con il suo assistito (si tratta di una modalità di colloquio che è molto lontana dal potersi definire riservata). Questo tipo di collegamento (tramite internet e quasi sempre su un unico pc presente in tutta l’aula) non è ovviamente conforme alle modalità di svolgimento dei collegamenti previste dall’art. 146 bis comma 4, delle norme di attuazione del c.p.p. che prevede invece che “Il difensore o il suo sostituto presenti nell’aula d’udienza e l’imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei”. Ed invero, prima dell’entrata in vigore dell’art. 221, comma 9, del Decreto Legge n. 34/2020, i video collegamenti con le aule d’udienza venivano effettuati esclusivamente da sale appositamente attrezzate degli istituti penitenziari. Si tratta di sale, munite di una apposita cabina che permette un colloquio riservato tra il detenuto e il difensore, il quale può quindi continuare ad assisterlo senza dover interrompere il processo restando collegato dall’aula d’udienza.
La situazione attuale è dovuta, da un lato, allo scarso numero di aule d’udienza tecnologicamente attrezzate e, dall’altro, all’insufficienza di sale colloquio idonee alla celebrazione dei numerosi processi con detenuti in video collegamento.
Non è pertanto ipotizzabile – allo stato – fare simili processi nel rispetto di quanto previsto dall’art. 146 bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale. Ed invero, oltre a non essere possibile celebrare udienze tramite Teams, Skype o altre applicazioni internet garantendo al detenuto di poter conferire con il difensore in via riservata non è altresì possibile, non essendovi sufficienti aule adeguatamente attrezzate, il rispetto di modalità di collegamento “tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire gli altri” (cfr. art. 146 bis, comma 3, norme di attuazione del c.p.p.). Continuare a celebrare i processi nei confronti di imputati detenuti con queste modalità di collegamento comporta conseguentemente un’inaccettabile compressione dell’esercizio del diritto di difesa. L’auspicio è che la vaccinazione della popolazione detenuta in corso possa consentire in tempi rapidi di celebrare nuovamente i processi alla presenza fisica e non solo virtuale dell’imputato detenuto.

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