La riforma della giustizia rappresenta l’occasione per dare slancio all’arbitrato, strumento ideale per smaltire e velocizzare i processi. Le novità proposte nel progetto, però, sembrano non andare in questa direzione. A sostenerlo è Alessio Di Girolamo, avvocato e arbitro dello Studio degli Avvocati Dattrino e Di Girolamo.
Uno dei punti cardine del Recovery Plan è il miglioramento dell’efficienza della giustizia civile. Come valuta, in questo senso, il progetto di riforma?
Ritengo che il progetto di riforma contenga taluni elementi positivi, tuttavia la mia valutazione è, nel complesso, abbastanza negativa perché, ancora una volta, muove dalla erronea convinzione che, modificando le regole del giudizio ordinario di cognizione, si possa ridurre la durata dei processi, che, in realtà, non dipende dalle regole del giudizio, quanto, piuttosto, dal rapporto tra numero di giudizi instaurati e capacità dello Stato di mettere al servizio dei cittadini risorse adeguate per definirli in tempi brevi. Non solo, ma, come condivisibilmente osservato da più parti, anche dalla stessa Commissione Luiso, le modifiche proposte al giudizio ordinario di primo grado, e, in particolare, l’introduzione della nuova disciplina delle preclusioni, il cui maturare, anche con riferimento alla deduzione dei mezzi di prova, verrebbe significativamente anticipato alla fase iniziale del processo, rischierebbero, da un lato, di moltiplicare il numero dei giudizi e, dall’altro lato, perfino di pregiudicare il diritto delle parti ad avere un giusto processo.
In che modo la risoluzione alternativa delle controversie, attraverso strumenti quali l’arbitrato, può avere un impatto decisivo sullo smaltimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi di giustizia?
La diffusione delle Adr può sicuramente svolgere un ruolo essenziale per lo smaltimento dell’arretrato e per la riduzione dei tempi della giustizia, consentendo la diminuzione del numero dei giudizi instaurati davanti all’Autorità giudiziaria: a questo fine, particolare rilievo deve essere attribuito all’arbitrato (rituale), in quanto unico strumento che consente alle parti di ottenere una decisione, resa da un terzo imparziale ed all’esito di un giudizio caratterizzato dal rispetto del contraddittorio e degli altri principi di ordine pubblico processuale, idonea a produrre i medesimi effetti della sentenza. Proprio sotto questo profilo, tuttavia, il progetto di riforma risulta alquanto deludente: l’unica innovazione davvero degna di nota, certamente positiva, riguarda l’attribuzione agli arbitri (con il consenso delle parti) del potere di concedere misure cautelari. In negativo, vi è peraltro da notare che l’arbitrato risulta inspiegabilmente escluso dalle agevolazioni fiscali, riservate alla mediazione.
Quali saranno a suo avviso le prossime evoluzioni della materia dell’arbitrato per renderla ancora più appetibile? Tornerà ad approfondirla nel prossimo Speciale?
Trovo che, per rendere davvero appetibile l’arbitrato, prima ancora delle modifiche normative, sia necessaria la diffusione della cultura dell’arbitrato, che oggi è ancora visto da molti operatori del settore, probabilmente anche per la scarsa conoscenza che ne hanno, con diffidenza. Certamente tornerò ad occuparmene in futuro.